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Un mondo migliore, mission impossible?


Varie

Intervista al professore Luca Ricolfi

Il mix è letale. Un combinato di pretese fatto di soli diritti e la rete, con i social, che gonfia l’ego in modo facile e sproporzionato. Risultato? Una pessima realtà, spesso finta, che gli adulti offrono a ragazzi. Una realtà che disorienta e alimenta violenza e aggressività. E’ questo il meraviglioso mondo 5.0 che ci aspetta? Quello dell’iperconnessione, della realtà aumentata, della robotica e dell’intelligenza artificiale? E l’uomo del Terzo millennio che fine fa? Lo abbiamo chiesto al sociologo Luca Ricolfi che ha risposto così alle nostre domande.

Domanda. Abbiamo passato una estate terribile con gli stupri di Palermo e Napoli, ragazzi anche giovanissimi protagonisti. Con gli adulti non va meglio: i femminicidi sono una costante della cronaca nazionale. Cosa succede nel nostro Paese? Stiamo precipitando nell’inciviltà e nella disumanità o esiste un problema di caduta di valori e di educazione?
Risposta.
I femminicidi attirano sempre di più l’attenzione dei media, ma – dalle frammentarie e incomplete statistiche disponibili – non risultano in aumento. E’ vero però che il numero di omicidi in cui la vittima è un maschio è in costante diminuzione da anni, mentre le vittime di sesso femminile sono approssimativamente costanti. Le violenze sessuali sembrano in significativo aumento, sia rispetto agli anni più recenti, sia rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia. Ma il vero fenomeno emergente è quello dei reati commessi da minori. Secondo il report della Polizia di fine anno (dicembre 2022), i minori denunciati o arrestati sono aumentati del 14.3%, con punte impressionanti per reati come le rapine in generale e le rapine nella pubblica via (+75.3% e +91.2% rispettivamente), i tentati omicidi (+65.1%), gli omicidi volontari (+53.8%), le percosse (+50%), le lesioni (+33.8%). Difficile fare una diagnosi. Parlare di “caduta di valori e di educazione” non è sbagliato, ma io proverei a invertire il discorso. Anziché chiederci se c’è una caduta dei valori, forse dovremmo chiederci se non sono proprio i valori che trasmettiamo ai nostri figli e agli studenti ad alimentare la violenza.

D. In che senso?
R. Nel senso che i valori oggi prevalenti ruotano intorno a un’unica idea, quella di un illimitato “fascio di diritti” di cui ogni giovane sarebbe titolare: diritto al successo formativo, diritto a consumi cospicui, diritto all’autorealizzazione, diritto alla felicità in tutti gli ambiti. Mentre mancano del tutto i contrappesi di tali diritti: dovere di studiare, differimento della gratificazione, disponibilità a sostenere sacrifici, necessità di meritare quello cui si aspira (quest’ultimo è il tema centrale del mio libro La rivoluzione del merito, pubblicato un mese fa da Rizzoli). Il risultato è che, quando non ottengono quello cui aspirano, i giovani – con la complicità del mondo adulto – entrano nel ruolo di vittime. E sappiamo bene che frustrazione, risentimento, invidia sociale possono diventare incubatori di comportamenti aggressivi e violenti. Da questo punto di vista il triennio del Covid è stato molto dannoso, perché il racconto compassionevole e vittimistico degli adulti nei confronti dei ragazzi non ha fatto che alzarne il livello di frustrazione e di aggressività. D.

Che ruolo hanno i social, un veicolo di dipendenza collettiva, ormai diventati droga dell’ego e veicolo di valori e immagini spesso lontani dalla realtà che si vive?
R. I social hanno un ruolo enorme. Negli anni ’50 e ’60 la preoccupazione principale di uno studente era assecondare le aspettative di genitori e insegnanti. Nei decenni successivi hanno assunto un peso sempre più importante le aspettative del gruppo dei pari, tipicamente i compagni di scuola. Negli ultimi 15 anni, ovvero da quando esiste lo smartphone, tutto è cambiato. Ragazze e ragazzi sono impegnati in una competizione sfrenata per la popolarità, ma il gruppo di riferimento non sono i compagni di classe bensì le comunità che si formano su internet. Il bisogno di essere qualcuno, di emergere, di essere invidiati e ammirati non è mai stato così forte. Di qui le cosiddette challenge (sfide estreme), l’uso spregiudicato dei video (fino al revenge porn), il bullismo, fino alle baby-gang e, nei casi estremi, gli stupri di gruppo. Le azioni tendono ad essere sempre più estreme, trasgressive, (macabramente) spettacolari proprio perché, più è ampio il pubblico dei possibili spettatori, meno – per emergere – ci si può accontentare di semplici monellate.

D. Cosa possono fare le istituzioni in una società ormai pervasa dalla tecnologia, da internet e da modelli culturali ed educativi che sfuggono, colpevolmente, ai soggetti tradizionali come la scuola e la famiglia?
R. In generale, le istituzioni non possono fare nulla, perché sono parte del problema. E’ il tipo di educazione che famiglia, scuola, mass-media hanno troppo spesso impartito (e continuano a impartire) che alimenta i comportamenti giovanili. Certo, per fortuna esistono eccezioni: insegnanti seri e preparati, genitori che non consegnano i bambini alla babysitter tecnologica (tablet, telefonini), esperienze di sport e di volontariato. Ma sono minoranza.

D. I nonni sono spesso centrali nell’educazione dei bambini, anche per la latitanza volontaria o meno dei genitori. Come possono intervenire in modo intelligente cogliendo l’importanza del proprio ruolo?
R. Domanda difficile. I nonni sono oggi molto più vecchi che mezzo secolo fa, perché è da due generazioni che ci si sposa sempre più tardi. E’ diverso, molto diverso, diventare nonni a 60-65 anni, o a 75-80. E i bambini sono molto più ingovernabili (e viziati) di un tempo. Quindi il mestiere di nonno è diventato durissimo. Per quel che vedo intorno a me, la principale chance di un nonno o di una nonna è di fare con i nipoti qualcosa di unico, che i nipoti non possono fare né a scuola, né in famiglia, né con i loro amici. Ma se il nipote è internet-dipendente, il compito si fa durissimo. A quel punto, per i nonni, si tratta di trovare qualcosa che sia così interessante e coinvolgente da vincere la concorrenza della rete. Mission impossible?