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Pensioni disarmate contro l’extra-tassa dell’inflazione


Pensioni

Non è una vera e propria tassa ma nel vivere quotidiano non esiste imposta più odiosa, iniqua e regressiva dell’inflazione. Forse ci eravamo illusi di averla cancellata lasciandola soltanto nei testi di economia e nei ricordi di intere generazioni per le quali aumenti dei prezzi a due cifre erano la normalità. L’inflazione invece è riapparsa tra noi, quasi all’improvviso e da oltre due anni governi e banche centrali cercano di contrastarla con risultati, finora, non proprio brillanti.

Odiosa perché le tasse che paghiamo, senza sorriso sulle labbra, servono per la sanità, la scuola e i servizi pubblici mentre l’inflazione ingrassa i conti correnti di pochi e svuota i portafogli di molti. Regressiva perché pesa sulle tasche degli italiani in modo inversamente proporzionale al reddito disponibile: più sale il reddito e meno si avverte l’impatto della crescita dei prezzi. Iniqua in quanto grava esclusivamente sui consumatori, soprattutto sulle fasce meno abbienti.

Un recente studio di Mediobanca rileva che l’industria italiana ha retto l’impatto inflattivo con un aumento del fatturato nominale del 30,9% e dello 0,6% in termini reali. Significa che il volume di vendite è aumentato leggermente ma l’industria è riuscita a scaricare sui prezzi finali l’intera portata dell’inflazione e forse anche qualcosa in più. Di contro i lavoratori hanno accusato una perdita del potere d’acquisto intorno al 22% per effetto di un costo medio unitario del personale in crescita solo del 2%. Ne consegue che i pensionati sono quelli più colpiti non avendo alcuna difesa (rinnovi contrattuali e/o sgravi contributivi).

In realtà sui redditi da pensione la scure dell’inflazione si è abbattuta in maniera ancor più pesante. Le medie statistiche vanno sempre prese con le molle come insegnava Trilussa con la storia del mezzo pollo a testa (se uno mangia un pollo intero c’è almeno un altro che il volatile nemmeno lo vede).

La rilevazione dell’inflazione è una media riferita a un paniere di prodotti e servizi sulla base della frequenza di acquisto. Un pacco di pasta e un kg di pomodori hanno un peso maggiore di scarpe e ristoranti. Quando leggiamo che il tasso dell’inflazione è al 5%, presuppone che ogni consumatore abbia acquistato prodotti e servizi replicando la composizione del paniere Istat. Cosa molto improbabile se non impossibile. E infatti sempre l’Istat calcola l’andamento dei prezzi del carrello della spesa su quei prodotti e servizi che riguardano beni alimentari, per la cura della casa e della persona, dalle verdure alle bollette, dal dentifricio ai detersivi. Questa categoria di prodotti mostra un andamento che è esattamente il doppio rispetto alla media generale.

Nell’ultima rilevazione Istat l’inflazione era al 5% mentre il “carrello della spesa” segnava un +9,6%. Ma un’ulteriore scomposizione delle categorie di prodotti evidenzia un trend ben più preoccupante. Tra gennaio 2021 e agosto scorso i prezzi per l’energia e l’abitazione hanno subito un’impennata del 45%, con picchi del 207% per l’energia elettrica e del 197% per il gas. I generi alimentari nello stesso arco di tempo mostrano un aumento del 20,5% a fronte dell’8,6% dell’indice generale. Ma, come detto, l’inflazione è regressiva e occorre, allora, misurarne l’impatto sulla base del reddito.

Se dividiamo gli italiani in dieci gruppi sulla base del reddito disponibile (dai meno abbienti, gruppo 1, ai più ricchi, gruppo 10) emerge che dall’uno al tre (dove si concentra circa l’80% dei pensionati) l’aumento di spesa per le bollette è stato tra il 12 e il 16,3% mentre per il gruppo dei contribuenti più ricchi soltanto del 6%. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che i sussidi hanno in parte alleviato i forti rincari di luce, gas e carburanti. Ma nonostante l’intervento governativo tra agosto 2022 e agosto 2023 i primi due gruppi hanno dovuto aumentare la spesa del 7% per fronteggiare il caro-prezzi, il gruppo dei più ricchi soltanto del 5%. Senza gli aiuti governativi il primo gruppo avrebbe dovuto sopportare un aumento di spesa del 20% mentre i più ricchi appena il 6,1%.

Aiuti e sussidi sono stati progressivamente ridotti ed è evidente che occorre un contrasto all’inflazione più incisivo e con interventi strutturali. Non è pensabile che la lotta al caro-prezzi si possa vincere soltanto con la politica monetaria della Banca centrale europea. Tra l’altro i continui rialzi dei tassi di interesse decisi a Francoforte rischiano di trasformarsi in una cura troppo forte che uccide il paziente (economia e bilancio delle famiglie).

E’ necessaria pertanto una maggiore concorrenza in quei settori dove resistono rendite ingiustificate a partire proprio dal mercato elettrico e del gas. In fondo gli aumenti energetici non hanno giustificazioni economiche: non c’è scarsità di prodotti e non c’è una forte domanda di consumi. Un processo tuttavia che richiede tempo. Nell’immediato occorre dare ossigeno ai redditi. Il Governo ha confermato il taglio del cuneo fiscale anche per l’anno prossimo con benefici per il lavoro dipendente. Sarebbe una grave ingiustizia e un clamoroso paradosso se lo stesso Governo per finanziare gli sgravi contributivi bloccasse l’adeguamento delle pensioni.