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Ludopatia, prevenirla è meglio che curarla anche negli anziani


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Non solo un vizio, ma una vera e propria patologia con i contorni di una emergenza sociale. È la ludopatia, la dipendenza dal gioco d’azzardo. Una piaga che in Italia affligge più di un milione e mezzo di persone (e le loro famiglie) e diventa più frequente con l’avanzare dell’età. Un giro d’affari di oltre 90 miliardi di euro l’anno, che spesso vede vittima chi non può permetterselo.

Secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio di Ricerca Nomisma, nel nostro Paese il 25% degli over 65 gioca regolarmente. Chi gioca, dichiara di farlo per distrarsi dai problemi o per curiosità. Un vizio che colpisce più gli uomini che le donne, diffuso soprattutto al Sud e nel Nordovest.

Sempre secondo i risultati di questa ricerca, eseguita nel 2021 ma ancora la più recente per completezza, gli anziani giocano più frequentemente al gratta e vinci, ma sviluppano dipendenze anche con le slot machine, le videolottery e le scommesse sportive, e per giocare si recano in luoghi fisici come bar, tabaccherie, casinò, persino centri per anziani.

È proprio il facile accesso al gioco, insieme alla condizione di isolamento sociale tipico di molti anziani in difficoltà, uno dei maggiori fattori di rischio che aumenta le probabilità di cadere nella dipendenza. Ecco allora che diventa particolarmente importante saper cogliere alcuni campanelli di allarme, la cui lettura è fondamentale per provare ad arginare il fenomeno quando è ancora all’inizio. Chi gioca, il più delle volte, presenta anche altre fragilità: economiche, sanitarie, psichiche, sociali, relazionali.

Alcuni studi, ad esempio, collegano malattie come l’Alzheimer e il parkinson e la ludopatia nelle fasi iniziali della patologia, quando lo sviluppo del cortisolo, l’ormone responsabile di stanchezza, depressione e calo della memoria, conduce allo smarrimento e al danneggiamento dei freni inibitori. Chi comincia a giocare, inoltre, spesso smette anche di prendersi cura di sé, sparisce per lunghi periodi e ha gravi dimenticanze.           
C’è poi un altro aspetto da considerare. Come per molte altre dipendenze, i giocatori mentono per nascondere questa debolezza, oppure tendono a dare informazioni solo parziali. Ne segue che il fenomeno rimane sommerso. Al pari di altre sindromi da dipendenza, anche la malattia del gioco ha radici nel bisogno di sfuggire a una causa di stress e malessere. Individuare tale causa e affrontarla in maniera corretta è un passo fondamentale per evitare che ciò che all’inizio viene erroneamente percepito come svago si trasformi presto in patologia.

In questo scenario, il momento del pensionamento è un passaggio particolarmente critico. È infatti dimostrato che si gioca di più quando le responsabilità familiari si allentano e attraverso il gambling (termine inglese per indicare il gioco d’azzardo) molti anziani tentano di riempire quel vuoto lasciato da altre attività. Con l’avanzare degli anni aumentano anche ansia e depressione, e il gioco diventa una sorta di via di fuga alla ricerca di un senso di soddisfazione del tutto simile a quello connesso all’abuso di sostanze chimiche come nicotina, alcol o stupefacenti.

A tutto ciò, ovviamente, va aggiunto il danno economico: è dimostrato che non esiste un giocatore che vinca. È evidente come la ludopatia sia un tema sempre più urgente nella società, i cui effetti possono generare gravi ripercussioni a livello sociale e individuale, con gli anziani particolarmente esposti. Un consiglio per rimanere alla larga dalla brutta tentazione del gioco? Tenersi impegnati, coltivando una o più passioni, mantenere viva una fitta rete di contatti, non cominciare nemmeno per curiosità e con piccole somme e ricordare che con il gioco non si vince ma si perde soltanto: soldi e salute!