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Lo psicologo nella terza età non sia un tabù


Salute

Chiedere un intervento psicologico per una persona che vive la terza età in questo momento storico, vuol dire affrontare le credenze e convinzioni avute per molti anni, e che non sempre corrispondono a quelle attuali, personali e sociali. Lo psicologo, per antonomasia, era la figura dedicata alla “normalizzazione” delle persone, divenuta oggi un riferimento legato ai cambiamenti della vita, alla comprensione di sé stessi, ad una accettazione della propria identità. Ogni stereotipo inoltre è sempre vissuto anche all’interno del proprio contesto di riferimento: famiglia, scuola, lavoro, religione. E si inserisce nelle credenze personali che diventano guida nelle scelte. Il significato che viene attribuito allo psicologo – quindi – determinerà la scelta di andare o non andare.

Le esperienze in consulenza psicologica individuale con la terza età, mettono in evidenza che le richieste di un intervento sono soprattutto relative ad eventi specifici, separazioni, lutti, accettazione di aspetti psicosomatici.

Persone tra i 65 e gli 80 anni, soprattutto donne, riportano le insicurezze di chi vive un’anzianità nuova, poco sperimentata, perché gli esempi a cui guardano (o guardavano) sono (o erano) figure diverse: o già “vecchie” orientate alla fine dei loro giorni oppure a lavoratori/lavoratrici instancabili, propositive fino all’ultimo giorno.

La nuova condizione di terza età, spesso in pensione, con un grado di problematiche fisiche tollerabili, solitaria, costringe ad affrontare una identità che si trasforma e cerca il proprio posto nel mondo.

Accade spesso che, più uomini che donne, decidano di lasciare casa alla soglia dei 65 anni per cercare emozionalità diverse da quelle routinarie, richiedendo costantemente da sé stessi prestazioni nella sessualità e di conseguenza ricercando l’accettazione dall’alterità. Molte coppie si trovano ad affrontare periodi di solitudine in cui in vista dell’allungamento della vita ci si domanda se le cose funzionano, se ancora si ha voglia di stare insieme e trovando spiragli di cambiamento ci si tuffano completamente. In questa complessità esistenziale ed affettiva si cerca di sostenere il proprio malessere e di trovarne un significato con tanto di responsabilità e corresponsabilità.

Anche i disturbi emotivi e fisici diventano un buon motivo per incontrare lo psicologo, soprattutto perché stimolati dall’esterno. Quando più di una persona significativa, ci suggerisce di fare “due chiacchiere” dallo psicologo, perché “sei molto ansioso/a”, ad un certo punto viene il dubbio che gli altri abbiano ragione, soprattutto perché nella terza età si fanno i conti con la solitudine e sentirsi allontanati per difetti caratteriali non piace a nessuno, se poi si aggiungono patologie fisiche la questione si complica.

Le resistenze alla consulenza psicologica sono spesso legate alla paura del giudizio sui propri comportamenti e ad una certa mentalità: “i panni sporchi si lavano in casa”, in cui non c’è spazio per il confronto e la condivisione perché l’apparenza va salvata.

La resistenza spesso è legata anche al senso di inutilità. “Che cosa ci vado a fare? Solo a spendere soldi”. Una rassegnazione ad accettare ciò che accade in silenzio.

 Chaiara Volpicelli

(Psicologa)