Aumentano le rinunce alle cure, soprattutto tra donne e anziani. Quasi sei milioni di italiani, nel 2024, hanno rinunciato a curarsi. Così il Presidente dell’ISTAT, Francesco Maria Chelli, ha lanciato l’allarme durante un’audizione sulla manovra economica rttenutasi nei giorni scorsi.
Il 9,9% della popolazione dichiara, infatti, di non aver potuto accedere a prestazioni sanitarie necessarie, contro il 7,6% dell’anno precedente. In termini assoluti significa un milione e trecentomila persone in più che hanno rinunciato a una visita, a un esame o a una terapia.
Le cause principali, secondo il presidente ISTAT, restano le liste d’attesa troppo lunghe, indicate dal 6,8% come ostacolo determinante. A seguire, le difficoltà economiche e la scomodità di raggiungere le strutture sanitarie, in particolare nei territori periferici o montani. La tendenza, avverte l’ISTAT, è in crescita costante: nel 2019 chi segnalava liste d’attesa insostenibili era appena il 2,8%, nel 2023 il 4,5%, oggi quasi il 7%.
Il fenomeno colpisce in modo diverso a seconda dell’età e del genere. Le donne risultano più penalizzate, con un tasso di rinuncia alle cure del 7,7% contro il 6,8% degli uomini. Inoltre, tra le donne di 45-64 anni la quota sale al 9,4%, mentre tra le over 65 al 9,2%.
Per gli anziani, l’accesso alle cure assume risvolti ancora più critici. Oltre alla crescita delle liste d’attesa, pesa la complessità del sistema di prenotazione, spesso digitalizzato ma poco accessibile per chi non ha dimestichezza con le tecnologie. A ciò si aggiunge la cronica carenza di personale sanitario, che rallenta ulteriormente le prestazioni in molte regioni.
Secondo gli esperti, la rinuncia alle cure produce effetti che vanno ben oltre il disagio individuale: ritardare una diagnosi o una terapia comporta costi sanitari e sociali più alti nel lungo periodo, perché aumenta il rischio di malattie croniche non trattate e di ricoveri evitabili.