placeholder image

Geopolitica, niente di nuovo sul fronte orientale?


Varie, Apertura

Nelle ultime settimane, l’affollata cronaca internazionale è stata dominata dalla mobilitazione di governi e società civili occidentali a sostegno della martoriata popolazione di Gaza. Intanto però, in barba alla fallimentare iniziativa diplomatica di Donald Trump, la guerra ucraina prosegue con il corredo di opposte propagande. Il governo russo rivendica un’avanzata inesorabile, alimentata dalla superiorità di uomini e mezzi. L’esecutivo ucraino di Volodymyr Zelensky, pur ammettendo le difficoltà, sottolinea l’enorme prezzo pagato da Mosca e rinnova gli appelli a europei e americani affinché rinnovino il loro sostegno.

Niente di nuovo, dunque? Non proprio.

La novità è il mutato atteggiamento russo. Non verso l’Ucraina, ma verso i paesi della Nato che la sostengono. I fatti sono recenti e piuttosto eloquenti. Il 16 settembre scorso un Vladimir Putin in tuta mimetica si è fatto immortalare mentre osservava sul campo le esercitazioni Zapad-2025 svolte da Russia e Bielorussia. Fine dichiarato: “La protezione incondizionata della sovranità e dell’integrità territoriale [di Russia e Bielorussia] contro ogni tentativo di aggressione”. Sottinteso: proveniente da ovest. L’esercitazione avviene ogni quattro anni, ma questa era la prima dall’invasione russa dell’Ucraina, avvenuta il 24 febbraio 2022. Si è svolta dunque in un contesto molto teso e in aree iper-sensibili, a poca distanza dai confini della Nato. Quest’ultima, per tutta risposta, quasi in parallelo svolgeva l’esercitazione Quadriga 2025. Coordinata dalla Germania, ha simulato la difesa dell’alleanza da un attacco. Sottinteso: proveniente da est.

A esercitazioni ancora in corso, si intensificavano le incursioni russe (o verosimilmente tali) nello spazio aereo di alcuni paesi Nato. Episodi non nuovi, ma divenuti più intensi ed eclatanti. Il 10 settembre 19 droni “bucavano” i cieli della Polonia, venendo in parte abbattuti. Il primo ministro polacco Donald Tusk dichiarava che un conflitto militare con la Russia “non è mai stato così vicino dal 1945”. Il 13 settembre un altro drone veniva rilevato nei cieli della Romania, mentre il 20 settembre tre jet russi MiG-31 violavano per alcuni minuti lo spazio aereo dell’Estonia in totale silenzio radio. Il giorno dopo, due jet tedeschi intercettavano sopra il Mar Baltico un aereo-spia russo, anch’esso in silenzio radio. Il 22 settembre Danimarca e Norvegia chiudevano gli aeroporti per la comparsa, nei loro cieli, di droni che il premier danese Mette Frederiksen “non escludeva” (leggasi: accusava) essere di provenienza russa. Il 25 settembre cinque MiG russi si avvicinavano allo spazio aereo della Lettonia, bloccati da caccia ungheresi sotto comando Nato; intanto, la US Air Force intercettava due bombardieri strategici Tu-95 e due caccia S-35 russi che volavano in prossimità dell’Alaska.

Le opinioni su alcuni di questi episodi divergono. Siccome gli ucraini disturbano i droni russi con interferenze elettromagnetiche per sviarli dai bersagli, è stato ipotizzato che alcuni di essi siano accidentalmente sconfinati in Romania e in Polonia. Secondo altri, specie nel caso polacco lo sconfinamento è stato così profondo da rendere implausibile l’errore. Errore che è del tutto escluso per gli sconfinamenti di aerei con pilota e fortemente dubbio in altri casi, specie quello relativo ai droni sulla Danimarca.

La domanda che assilla le cancellerie europee è: la Russia cerca la guerra diretta con la Nato? Malgrado le apparenze, la risposta più logica (e auspicabile) è: no. Ma allora, a cosa punta Mosca? Plausibilmente, a logorare la coesione dell’Alleanza atlantica. In una fase che vede l’America, in piena confusione politica, riluttante a garantire la sicurezza europea come un tempo, Putin vuole capire due cose. Primo: se e quanto Washington fa sul serio nel disimpegno dal Vecchio Continente. Secondo: se e quanto gli europei sono capaci di difendersi da sé, compensando la minore garanzia americana.

Le prime reazioni indicano che mosca abbia colpito nel segno, mettendo a nudo le crescenti divisioni tra le due sponde dell’Atlantico. Mentre gli europei denunciavano la deliberata provocazione russa, l’amministrazione Trump parlava di errore. Dopo frenetiche consultazioni, la correzione: la Nato, ribadiscono i leader nazionali e il Segretario generale Mark Rutte, resta compatta nel difendere ogni Stato membro e annuncia un aumento delle difese aeree sul fianco est, soprattutto per iniziativa europea.

Tanto rumore per nulla, allora? No. Le punzecchiature russe hanno messo in luce le divisioni tra Europa e Stati Uniti, ma anche tra paesi europei che di fronte alla percepita minaccia tornano a invocare una non più scontata tutela americana. Nell’ottica russa, questo ispira due considerazioni.

Primo, che una Nato in crisi di coesione e d’identità difficilmente sarà disposta a spendersi ancora molto per Kiev, specie se ciò implica rischiare uno scontro diretto (ancorché circoscritto) con la Russia. Ciò rende più probabile l’ipotesi di una tregua sancita da una spartizione territoriale dell’Ucraina.

Secondo, che l’invasione dell’Ucraina, fatta per scongiurare un ulteriore allargamento della Nato a est, potrebbe rivelarsi a posteriori un errore meno disastroso di quanto inizialmente apparso. Giustificando così, di fronte all’opinione pubblica russa, l’ingente sacrificio umano e materiale.

Questo, a oggi, sembrerebbe il calcolo del Cremlino. Se e quanto giusto, ma soprattutto azzardato, sarà il tempo a dircelo.

Fabrizio Maronta

Responsabile redazione e relazioni internazionali di Limes