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Esodo pensionistico in arrivo: 6,1 milioni di pensionamenti in 10 anni


Varie, Apertura

Nei prossimi dieci anni, l’Italia dovrà affrontare un cambiamento demografico senza precedenti: oltre 6,1 milioni di persone usciranno dal mondo del lavoro. L’allarme è stato lanciato dal presidente Natale Forlani presidente dell’Inapp,  l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, in un’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica. Si tratta principalmente di persone nate tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 — i cosiddetti baby boomer — che raggiungeranno i requisiti pensionistici nei prossimi anni. Il ritmo dei pensionamenti aumenterà costantemente fino al 2035, raggiungendo picchi che metteranno a dura prova la tenuta del sistema previdenziale e del mercato del lavoro.

Secondo il presidente Inapp la popolazione italiana in età da lavoro ( 20-64 anni) crollerà di oltre un terzo entro il 2060, con “inevitabili conseguenze” su crescita economica, welfare e sostenibilità della spesa pubblica, se non si interviene subito. Gli effetti dell’esodo sono già visibili: le aziende denunciano difficoltà a trovare personale, la spesa pensionistica è destinata a salire fino al 17% del Pil entro il 2040 e oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti necessitano di assistenza continuativa, ma solo il 7,6% è accolto nelle Rsa.

Le conseguenze per il welfare

Questa uscita di massa dal lavoro porta con sé due problemi principali:

  • Sostenibilità del sistema pensionistico:
    Più pensionati significa più spesa pubblica per pagare le pensioni. Ma se i lavoratori attivi diminuiscono, i contributi versati all’INPS non saranno più sufficienti. Il rischio è quello di un aumento del debito previdenziale, che già oggi desta preoccupazioni (deficit INPS previsto: 20 miliardi entro il 2032).
  • Carenza di personale e giovani lavoratori:
    Molte professioni – soprattutto nei settori pubblici come sanità, scuola e pubblica amministrazione – rischiano di restare scoperte. Mancano giovani formati e disponibili a rimpiazzare chi va in pensione.
    Si parla già di una “desertificazione professionale”, soprattutto nel Sud Italia.

“Di fronte a un fenomeno di questa portata, allungare l’età del pensionamento, limitando le forme di ritiro anticipato e innalzando gradualmente i requisiti, “non è risolutivo” – chiarisce Forlani – che indica due priorità: rigenerare la popolazione attiva, portando sul mercato del lavoro donne, giovani, anziani ancora attivi e immigrati regolari – e rendere sostenibile la spesa sociale. L’indicazione è di differenziare le politiche per la terza età, distinguendo tra anziani attivi e non autosufficienti, rafforzare i servizi di prossimità e riformare l’assistenza. Fondamentale il tema dell’invecchiamento attivo: oggi il 54,9% degli occupati ha più di 45 anni. Servono politiche di “terza e quarta generazione” per prolungare volontariamente la vita lavorativa – formazione continua, age management, flessibilità e sicurezza – valorizzando competenze ed esperienza dei lavoratori maturi.

Anche il tema della cura, in senso ampio, rappresenta per Forlani uno snodo cruciale: serve a rispondere ai bisogni crescenti di una popolazione che invecchia, ma anche a generare nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale. Fondamentali anche “politiche di genere” per liberare il potenziale dell’occupazione femminile. Sono 7,8 milioni le donne tra i 15 e i 64 anni fuori dal mercato del lavoro e, tra queste, oltre 1,2 milioni dichiarano di voler lavorare, soprattutto in regioni del Sud come Campania e Sicilia, dove più del 23% delle inattive è disponibile.

E per i pensionati?

Per chi è già in pensione o ci entrerà a breve, il rischio è che si apra un dibattito sulla rivalutazione delle pensioni, sui tagli futuri o su una rimodulazione dei criteri di accesso.

Gli over 65 rappresentano oggi quasi il 25% della popolazione italiana. Non sono un peso, ma una risorsa: offrono sostegno alle famiglie, volontariato, esperienza. Il futuro del paese dipenderà anche da come sapremo valorizzare questa generazione, senza scaricare su di essa il costo di errori politici o ritardi strutturali.