Il mondo che osserva oggi il Professor Paolo Crepet, notissimo psichiatra e sociologo, è tutto da cambiare. Sprofondato nella perdita delle emozioni, pervaso dalla paura e dalla negazione della realtà. Un mondo che ci condanna alla solitudine e all’insensibilità. E’ quanto spiega nel suo ultimo libro ‘Mordere il cielo’, un grido di allarme per una deriva collettiva in cui sembra essere inesorabilmente caduto il nostro Paese e l’intero globo ormai devoto a internet. Ai lettori di VerdEtà Crepet spiega cosa ci aspetta e cosa dobbiamo provare a correggere.
Domanda. Professore, viviamo da quasi due decenni in un Paese a metà fra l’arrabbiato e il depresso. Le persone hanno rinunciato a impegnarsi nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati. Cala ovunque la partecipazione, nelle urne, nelle aggregazioni collettive, persino – dati dell’ultimo Rapporto ISTAT sul terzo settore – nel volontariato, nostro fiore all’occhiello. Regna ovunque il lamento sulla propria situazione personale e collettiva e una totale incapacità di apprezzare tutto quello che si ha. Che cosa ci sta succedendo?
Risposta. Abbiamo voluto accumulare tutto, abbiamo pensato che più si ha, più si sta bene e abbiamo sbagliato. Il lamento scatta perché mettiamo in campo un atteggiamento infantile. Ormai abbiamo dei padri cinquantenni che sono più bambini dei loro figli e, come tutti i bambini viziati, si lagnano. Questo perché non sanno fare altro, non hanno un progetto, non hanno una speranza. La speranza, del resto, è molto faticosa. E’ surreale? Certo! Però è così
E questo incide sulla partecipazione persino nel volontariato?
Purtroppo oggi la partecipazione è diventato un concetto vecchio. Lo si vede anche alle elezioni. Scopriamo che un cittadino su due non vota, non gliene importa nulla. La non partecipazione è una scelta. Risultato? Siamo tutti arrabbiati, nervosi, bulimici di qualsiasi cosa che, del resto, si può comprare in rete. Nessuno ci ha ordinato di non partecipare. Tuttavia noi adulti, consapevoli, abbiamo scelto di stare a casa davanti a uno schermo. Abbiamo deciso di stare soli. Perché è comodo e perché l’alternativa è faticosa. Hanno vinto i Mask, la Apple, i Steve Jobs e così via
Cosa intende?
Intendo che ci hanno fregato. Ci hanno dato la comodità e noi l’abbiamo scelta. Come valore assoluto della nostra vita.
Le nuove tecnologie, i social, ma anche i format televisivi, hanno esaltato sempre di più l’ego e offerto una via semplicistica all’affermazione di sé stessi nella società, anche se spesso effimera. Come si ricostruisce un mondo che premi di nuovo il merito, l’impegno e il valore personale?
Bisogna ricominciare dai bambini. Come? Facendo loro far fatica: scrivere con i gessetti nella lavagna è più faticoso che pigiare un bottone sull’iPad. Bisogna scegliere tutto ciò che è difficile, ad esempio via i zainetti trolley. Facciamo loro far fatica a portare almeno i libri. Purtroppo non sono solo i genitori a opporsi ma anche gli insegnanti. Poi però non bisogna lamentarsi della mancanza di partecipazione a ogni livello perché se non educhiamo alla fatica i bambini, il risultato – da adulti – è una generazione incapace di lottare e persino sognare.
Nel suo libro ‘Mordere il cielo’ lei parla dello smarrimento delle emozioni, di una deriva verso la solitudine a cui sembriamo votati con il telefonino in mano e di genitori incapaci di aiutare i figli a diventare uomini fieri di sé. Come siamo finiti in questo buco nero?
Il gessetto sulla lavagna è una emozione. La polvere che rimane sulle mani, un vestito sporco che qualcuno deve lavare: queste sono emozioni che poi ricordiamo. Emozioni che stiamo smarrendo seguendo pedissequamente questi signori della Silicon Valley. Siamo un Paese che aveva Caravaggio, Leonardo, Pasolini, dove sono andati a finire? L’intelligenza artificiale è una confort zone.
E cosa succederà a suo avviso?
Per me, è noto, ci saranno conseguenze terrificanti. Non sono ‘passatista’ (amante del passato n.d.r.) ma se il più grande neurologo italiano dice che l’intelligenza artificiale svuota il cervello forse qualcuno umilmente potrà anche crederci. Dobbiamo attivare una capacità di resistenza e resilienza. Io non voglio un mondo senza tecnologie, ma con una intelligenza umana che mette questi strumenti a suo servizio, come si è sempre fatto. Penso alle macchine, tipo il ferro stiro o tutti gli elettrodomestici. I nuovi strumenti vanno usati come tali e non come padroni della nostra mente.
Che ruolo possono avere i nonni, analogici e cresciuti in una Italia affamata prima di benessere (boom anni 60) poi di diritti (gli anni 70), in questo mondo lontanissimo dal loro?
Un ruolo rivoluzionario. Il nonno deve essere un rivoluzionario di fronte a questa deriva. Il che vuol dire non mettersi assolutamente a totale disposizione dei nipoti, come spesso oggi succede. Non facciano più i baby sitter, gli accompagnatori, si liberino dalla schiavitù. Che si arrangino, i nipoti. Gli anziani ricostruiscano le bocciofile, le osterie, escano e stiano insieme. Nei confronti dei nipoti i nonni hanno il dovere di ricordare che la nostra storia non era povertà ma ricchezza di rapporti, di sentimenti, di relazioni, di emozioni. Ecco cosa hanno il dovere di fare, posando il telefonino. Ci diano prova di coraggio e della loro voglia di cambiare e non si adattino a comprare on line ogni cosa per essere ‘moderni’, o fare videochiamate anziché uscire: sarebbe la fine. Poi, quando hanno tempo, facciano con piacere una crostata insieme ai nipoti o un bel lavoro manuale, proprio come una volta.