Di recente l’Istat ha rilasciato i dati sull’ultimo censimento del terzo settore, una indagine campionaria che viene ripetuta a cadenza triennale dall’Istituto nazionale di Statistica. Gli ultimi dati disponibili (raccolti su 110 mila istituzioni non profit, circa il 30% del totale, e aggiornati al 31 dicembre 2021) riguardano in particolare i settori di attività prevalenti, la mission, le caratteristiche sociodemografiche dei volontari e degli operatori, l’organizzazione interna. Il terzo settore italiano continua a crescere, sia in termini di enti (+53,3% rispetto al 2001), sia di lavoratori coinvolti (+85% rispetto al 2001).
Ad oggi circa il circa il 7% dei lavoratori dipendenti del nostro paese opera in questo tipo di organizzazioni. Un dato in negativo riguarda invece il numero dei volontari, 4,6 milioni al 2001, il 15.7% in meno rispetto all’ultima rilevazione del 2015 e meno anche della precedente rilevazione del 2011, in cui risultavano essere 4,7 milioni. La pandemia ha sicuramente avuto un peso, con le misure di distanziamento che hanno ridotto gli spazi dell’azione volontaria. Ma questa non è l’unica spiegazione.
In proporzione il numero di volontari scende, infatti, in maniera più significativa nelle piccole organizzazioni di volontariato, mentre tende a crescere all’interno delle componenti più grandi e più organizzate. Sulle ragioni di questo spostamento si possono solo avanzare delle ipotesi. Da un lato, ci può essere una stanchezza da parte dei volontari nelle organizzazioni di base nel sobbarcarsi oneri organizzativi e ammnistrativi sempre più pressanti dopo la riforma del 2019, specie per le realtà meno strutturate del volontariato.
Dall’altro, si può ipotizzare una caduta di tensione partecipativa dovuta al ricambio generazionale, oppure alla ricerca di contesti organizzativi più stabili in cui fare volontariato che spesso sono anche quelli più grandi e più inseriti nei rapporti di collaborazione con le amministrazioni per l’erogazione di servizi a beneficio delle comunità.
È all’intero di queste componenti più strutturate, del resto, che aumenta di più l’occupazione, segno questo di un processo di professionalizzazione che non smette di arrestarsi. Ma allo stesso tempo anche dell’esplosione dei bisogni legati alla cura, all’assistenza, alla non autosufficienza e più in generale al benessere quotidiano delle persone che è anche prevenzione e socialità diffusa.
Il peso delle trasformazioni demografiche, su tutte quelle legate all’invecchiamento della popolazione, e le difficoltà sempre più evidenti delle famiglie nel fare fronte a bisogni complessi e continuativi nel tempo spingono necessariamente in direzione del rafforzamento delle reti di welfare territoriale, in cui diventa fondamentale garantire l’accesso a servizi, non solo trasferimenti.
Su questo il censimento mette peraltro in evidenza uno spostamento degli occupati del non profit dai servizi sanitari in senso stretto (-45%) verso l’assistenza sociale territoriale (+29,9%) in cui ormai è occupata la metà del totale dei lavoratori e la maggior parte delle organizzazioni registrate che tendono anche a crescere in termini di dimensioni (da 9,4 a 11,7 operatori in media).
L’immagine generale che emerge dal censimento è quella di un campo in forte movimento. Nei prossimi anni vedremo gli effetti di queste trasformazioni che tenderanno sempre più a riguardare non solo il sistema di welfare ma più in generale il perimetro dell’economia sociale territoriale. Ma non meno importante sarà valutare l’impatto sulla partecipazione di cittadini e volontari che da sempre è parte costitutiva della storia del terzo settore italiano, soprattutto all’interno delle componenti più votate al coinvolgimento di soci e volontari, alle attività culturali, sportive, ricreative e di socializzazione.
Se oggi assistiamo a una caduta di tensione partecipativa, si tratterà di capire in futuro se questi cambiamenti cui abbiamo appena fatto cenno avranno l’effetto di rimotivare i volontari, promuovere l’attivismo dei più giovani (e quindi il ricambio generazionale nelle organizzazioni sociali) oppure se si consoliderà la spinta alla professionalizzazione che è molto importante ai fini della riorganizzazione dei sistemi di welfare territoriali, ma non necessariamente (da sola) in grado di attivare o riattivare le risorse altruistiche che resistono nella società.
Andrea Ciarini