Nell’acceso dibattito in Italia e in Europa sull’aumento della spesa militare, c’è un eccesso di semplificazione che non aiuta l’opinione pubblica a comprendere le prospettive della difesa comune e a conoscere la realtà dell’industria europea. In primo luogo è necessario sgombrare il campo da alcuni luoghi comuni: non è vero che l’Europa spende poco per la difesa. Nell’ultimo decennio Francia, Gran Bretagna e Germania insieme hanno speso circa 2mila miliardi di euro, poco meno della Cina, sei volte di più della Russia. Sommando i 27 Stati UE, siamo secondi soltanto agli Stati Uniti che nello stesso periodo hanno superato i 9mila miliardi di dollari.
La questione quindi è come spendono gli europei e per quale modello di difesa. È vero che ogni Paese disegna il proprio modello in funzione della minaccia ma non è vero che non esistano programmi sovranazionali. Uno dei principali si chiama ESSI (European Sky Shield Iniziative), che si può tradurre come Iniziativa per lo scudo aereo europeo. È un progetto per creare un’architettura di difesa missilistica condivisa, promosso dalla Germania nel 2022, al quale hanno aderito 24 Paesi del vecchio continente tra i quali la neutrale Svizzera e la Gran Bretagna mentre non sono nell’elenco Italia e Francia.
ESSI rappresenta il tentativo più ambizioso dell’Europa di colmare le lacune della difesa aerea ma presenta una criticità di carattere industriale in quanto sarebbe dipendente da sistemi non europei, i Patriot americani e gli Arrow 3 sviluppati da USA e Israele. Inoltre alcuni paesi aderenti hanno già siglato contratti di acquisto di altri sistemi come i Barak israeliani, i Nasams dell’americana Raytheon. Italia e Francia hanno puntato sul consorzio Eurosam (Mbda France, Mbda Italia e Thales) che sebbene sia un sistema aperto non è interoperabile con i prodotti previsti da ESSI.
Nello scacchiere europeo le alleanze industriali, i programmi congiunti e sovranazionali sono diventati la regola da tempo ma a geometria variabile. Se Italia e Francia vanno a braccetto nella difesa antiaerea, nei missili, nelle fregate FREMM (Naval Group e Fincantieri) e persino nello spazio, Roma e Parigi sono su fronti opposti nell’aeronautica che rappresenta l’emblema della frammentazione di risorse e investimenti. Per decenni settore dominato da americani e russi, poi arriva negli anni ’70 la risposta made in Europe con il Tornando, realizzato da Gran Bretagna, Italia e Germania.
Il salto in avanti è l’Eurofigther con gli stessi paesi ma con la presenza anche di Airbus Defence dove è azionista anche la Francia che tuttavia non acquista nemmeno un velivolo dei 980 prodotti ad oggi. Parigi fa tutto in casa con il Rafale al quale si aggiunge il Gripen della svedese Saab che riscuote un notevole gradimento sul mercato internazionale.
L’Eurofighter rappresenta una delle grandi innovazioni aeronautiche e negli anni ’90 è il velivolo tecnologicamente più avanzato al mondo ed è stato uno straordinario acceleratore di competenze e di sistemistica per le industrie coinvolte. Ma è in quel periodo che gli Stati Uniti avviano la più profonda ristrutturazione dell’industria militare. Il presidente Bill Clinton prende una decisione semplice annunciando che i fornitori del Pentagono sono troppi, l’80% della spesa si dovrà concentrare su 25 industrie, sui grandi programmi non ci sarà più concorrenza. Sono gli anni delle maxi-fusioni e acquisizioni, nascono colossi come Lockheed Martin e Northrop Grumman, mentre Boeing, United Technologies e Raytheon fanno shopping di decine di imprese.
In campo aeronautico gli USA ristabiliscono la leadership con l’aereo F35 sviluppato da Lockheed Martin e proposto anche all’estero con una strategia molto aggressiva che prevede una vera partnership industriale. Il consorzio europeo si sfilaccia, la Germania non prende in considerazione lo sviluppo dell’EFA di quinta generazione, subito dopo anche l’Italia decide di aderire al programma F35 così come la Gran Bretagna. I paesi e relative industrie partner di Lockheed diventano 9 (dal Belgio al Canada) e ad oggi sono 15 gli Stati che hanno acquistato uno dei mille velivoli prodotti.
Il futuro aeronautico è già arrivato. Il mese scorso la Casa Bianca ha annunciato il caccia da superiorità aerea F-47 che verrà realizzato da Boeing rompendo così il monopolio di Lockheed Martin. È il progetto più avanzato di velivolo di sesta generazione, a debita distanza Cina e Russia. E l’Europa? I principali Paesi hanno compreso l’errore compiuto con l’F-35 e affrancarsi dalla tecnologia americana significa partire con l’handicap.
Le basi sono state gettate con un rimescolamento rispetto alle precedenti alleanze. Italia, Gran Bretagna e Giappone nel 2022 hanno avviato il programma Gcap (Global Combact Air Programme) per sviluppare un caccia di sesta generazione attraverso una joint venture paritetica. Poco dopo è stato annunciato il programma Fcas (Future Combact Air System) che coinvolge Francia, Germania e Spagna. In ogni caso un passo in avanti, da tre aerei diversi si scende a due.
Altri esempi di collaborazioni sono il recente Trinity House Agreement tra GB e Germania, il programma franco-tedesco Main Ground Combat System (MGCS) per lo sviluppo congiunto di un nuovo MBT (carro da combattimento) e il Trattato del Quirinale siglato dai governi di Italia e Francia nel 2021 che prevede un rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi anche nel settore della difesa e della sicurezza.
Insomma l’integrazione europea nella difesa procede anche se a passo lento. L’interrogativo è come si relazione tale processo al piano di riarmo presentato dalla Commissione Europa (mai nome poteva essere più infelice). La prima questione è che l’industria europea più che un problema di tecnologie ha una limitata capacità produttive che non può essere aumentata premendo un bottone. La seconda è che quel piano non vincola i paesi e quindi le industrie ad accelerare il processo di integrazione.
Non c’è, e non potrebbe esserci, neanche una indicazione su quali sistemi e programmi investire. Nell’ambito della difesa vale ancora lo storico principio che gli eserciti si preparano sempre per la guerra che hanno appena finito di combattere e non per quella che combatteranno. Fortunatamente in Europa siamo rimasti alla seconda guerra mondiale.