Il 25 gennaio il Governo ha presentato lo schema di decreto attuativo della legge di riforma dell’assistenza agli anziani approvata lo scorso anno dal parlamento (Legge 33/2023).
Per valutarlo seguiamo i due grandi obiettivi della riforma. Uno consiste nel fare dell’assistenza pubblica agli anziani non autosufficienti un settore integrato mentre oggi è suddivisa in tre filiere ben poco coordinate: le politiche sanitarie, quelle sociali e i trasferimenti monetari dell’Inps. Ne derivano lo spezzettamento delle misure disponibili e una babele di regole e procedure da seguire, che disorientano anziani e famiglie.
La Legge 33, pertanto, introduce lo SNAA (Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana non Autosufficiente). Lo SNAA prevede – a livello centrale, regionale e locale – la programmazione integrata di tutti gli interventi a titolarità pubblica per la non autosufficienza, appartenenti alle tre filiere menzionate. In pratica, gli attori pubblici coinvolti programmano congiuntamente come utilizzare l’insieme delle risorse per la non autosufficienza, a livello statale, regionale e locale.
Nel Decreto, invece, la programmazione integrata non riguarda più l’insieme delle misure bensì i soli servizi e interventi sociali. In tal modo, però, lo SNAA viene mantenuto nella forma ma cancellato nella sostanza.
Passando ai percorsi di anziani e famiglie, viene rivista la pletora delle valutazioni della condizione di non autosufficienza degli anziani, che determinano gli interventi da ricevere. Oggi ce ne sono troppe (5-6) e non collegate tra loro, duplicando così gli sforzi degli operatori e rendendo assai complicato il percorso delle persone coinvolte. Con la riforma, le valutazioni si riducono a due soltanto: una di responsabilità statale e una di competenza delle regioni. Inoltre, i due momenti valutativi previsti nel nuovo impianto sono in stretta correlazione, a garanzia della continuità.
L’altro obiettivo della riforma risiede nella definizione di nuovi e più appropriati modelli d’intervento. Il decreto cancella la prevista riforma dell’assistenza a casa. Si sarebbe dovuto introdurre un modello di servizio domiciliare specifico per la condizione di non autosufficienza, oggi assente nel nostro Paese. Rimane, invece, solo il coordinamento tra gli interventi sociali e sanitari erogati dagli attuali servizi domiciliari mentre sono assenti aspetti decisivi quali la durata dell’assistenza fornita e i diversi professionisti da coinvolgere. A mancare è, soprattutto, un progetto che risponda alla domanda: “di quali interventi al domicilio hanno bisogno gli anziani non autosufficienti?”.
Oggi gli interventi a casa, offerti prevalentemente dall’Assistenza domiciliare integrata (Adi) delle Asl, durano in prevalenza al massimo tre mesi mentre la non autosufficienza si protrae spesso per anni. Forniscono, inoltre, singole prestazioni infermieristiche certamente utili (medicazioni, cambio catetere) ma senza affrontare le esigenze dovute alla non autosufficienza, come quelle di servizi di informazione/consulenza e di sostegno psicologico per i familiari. Detto altrimenti, sono servizi utili ma non pensati per la non autosufficienza.
Venendo ai servizi residenziali (case di riposo) siamo ancora in una situazione interlocutoria. Il Decreto attuativo, infatti, non contiene indicazioni puntuali e rimanda ad un successivo ulteriore Decreto.
La Legge 33, infine, comprendeva la riforma dell’indennità di accompagnamento, la misura più diffusa. È un contributo monetario in somma fissa (531 Euro mensili) senza vincoli d’uso, divenuto un simbolo del cattivo impiego delle risorse pubbliche. Era stato previsto un intervento ispirato alle direttrici condivise dal dibattito tecnico, in particolare: i) mantenimento dell’accesso solo in base al bisogno di assistenza (universalismo), ii) graduazione dell’ammontare secondo tale bisogno, iii) possibilità di utilizzare l’indennità per fruire di servizi alla persona regolari e di qualità (badanti o organizzazioni del terzo settore), in questo caso ricevendo un importo maggiore.
Nel passaggio al decreto, tuttavia, anche la revisione dell’indennità è scomparsa. La prestazione universale, di cui si è molto parlato quando è uscito il decreto, nella legge delega era un’altra cosa: si trattava – appunto – della riforma strutturale dell’indennità sopra delineata. Nel decreto, invece, è divenuta un intervento temporaneo che lascia immutata l’indennità e vi aggiunge ulteriori risorse. Una misura che si colloca nell’antica tradizione italiana di non riformare ma di aggiungere qualcosa all’esistente, lasciandolo così com’è.
Il decreto stanzia 500 milioni per il biennio 2025-2026, dedicati alla prestazione universale. Non vi sono – come atteso – risorse aggiuntive di natura strutturale. Sarebbe miope, tuttavia, concentrarsi oggi sui fondi. Quello che conta, prima di tutto, è il progetto per il welfare futuro perchè solo se questo è solido ha senso discutere di finanziamenti. Ecco il punto: pur contenendo parti significative, purtroppo, nel decreto manca un progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia.
CRISTIANO GORI
Sociologo, promotore del
Patto per un nuovo welfare
sulla non Autosufficienza