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Vivere a lungo? Non solo merito dei geni


Salute, Varie

Per lungo tempo è stata considerata un dono della genetica, una fortuna riservata a chi nasce con un patrimonio ereditario particolarmente favorevole. Tuttavia, un recente studio condotto dall’università di Oxford, pubblicato sulla rivista scientifica “Nature Medicine”, sembra ribaltare questa convinzione: a incidere maggiormente sulla durata della vita non sono solo i geni, ma anche fattori ambientali, sociali e comportamentali.

La ricerca ha analizzato le informazioni sulla salute di mezzo milione di cittadini britannici, incluse abitudini alimentari, di sonno e di attività fisica, malattie dell’infanzia, condizioni socioeconomiche e familiari.

Per ciascuno dei 500mila individui censiti i ricercatori hanno tracciato il profilo del rischio di ammalarsi, condizionato dai geni da una parte e da 164 fattori ambientali e stili di vita dall’altra, dimostrando che questi influiscono sul rischio di morte prematura circa dieci volte più della predisposizione genetica. In particolare, gli studiosi hanno rilevato che le condizioni ambientali e sociali sono responsabili di due terzi dei rischi di mortalità precoce. Al contrario, le componenti genetiche rappresentano solo una piccola parte di questa equazione complessa.

Il fattore che più incide sulla longevità è il fumo, legato all’insorgere di 21 delle 22 malattie prese in esame dall’università di Oxford, tra le quali patologie cardiovascolari e respiratorie, ma anche malattie neurodegenerative e l’insorgere del diabete di tipo 2. Al secondo posto ci sono le condizioni socioeconomiche: possedere una casa, alloggiare in affitto o dover pagare un mutuo, avere un contratto di lavoro stabile, vivere in condizioni di povertà. Anche il sonno gioca il suo ruolo: dormire meno di sette ore a notte, ma anche più di nove, è associato a una vita più breve. Allo stesso modo lo sport ad alta intensità causa stress ossidativo nelle cellule accelerando il processo di invecchiamento. Un titolo di studio elevato, il numero di automobili possedute (considerato un indice di ricchezza) e la convivenza con un partner, al contrario, predispongono a una vecchiaia prolungata.

Sebbene i geni non siano irrilevanti, il loro impatto risulta molto inferiore rispetto a quanto si è creduto in passato. Alcune varianti genetiche possono certamente predisporre a determinate patologie, ma i loro effetti possono essere significativamente modulati, se non compensati, da uno stile di vita appropriato.

“Homo faber fortunae suae”, siamo noi gli artefici del nostro destino: è quanto suggerisce questo nuovo approccio. Non siamo prigionieri del nostro DNA, ma possiamo “dialogare” con esso attraverso le nostre scelte quotidiane. Il segreto della longevità non risiede in una formula genetica inaccessibile, ma nelle scelte consapevoli compiute giorno per giorno.

I risultati di questo studio sottolineano, infine, l’importanza di politiche sanitarie orientate alla prevenzione delle malattie e alla promozione di ambienti salubri. Investire nella qualità dell’aria, negli spazi verdi, nell’educazione alimentare, nella promozione dell’attività fisica rappresenta un’opportunità concreta per aumentare l’aspettativa di vita della popolazione, riducendo al contempo il carico delle malattie croniche sul Sistema sanitario nazionale.